Schedati tutti i testi di e su un grande poeta italiano del Novecento
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La fine del secolo ventesimo ha coinciso con un’attenzione crescente e una moltiplicazione di studi sulla figura e sull’opera di Clemente Rebora (Milano 1885-Stresa 1957), i cui Frammenti lirici stanno all’origine del Novecento poetico italiano. Era perciò particolarmente attesa una Bibliografia reboriana, finora mai tentata, come quella allestita in un decennio di ricerche e di schedature da Roberto Cicala e Valerio Rossi ed ora edita dalla casa editrice Olschki di Firenze. L’utile pubblicazione viene a colmare un vuoto negli studi sul poeta a novant’anni dall’uscita del suo capolavoro, i Frammenti lirici, che Prezzolini pubblicò nelle edizioni della “Voce” nel 1913. Il progetto bibliografico è stato promosso dal Centro Novarese di Studi Letterari e dal Cntro Internazionale di Studi Rosminiani con il patrocinio della Regione Piemonte (all’interno del progetto “Erasmo”), della Provincia di Novara e della Banca Popolare di Novara. Una prima sezione presenta, suddivise per generi, la bibliografia delle opere di Rebora, con una sezione iconografica; la seconda sezione registra cronologicamente i testi riguardanti la fortuna critica del grande poeta, dal 1912 al 2001, con quasi cinquemila schede bibliografiche, facendo emergere i momenti più significativi (dal risveglio di interesse nel 1937 con Betocchi e Contini dopo la professione religiosa rosminiana e nel 1948 dopo l’uscita delle Poesie presso Vallecchi, alla vastissima attenzione per la morte, fino alla prima monografia del 1960 e alla nuova stagione di studi degli anni novanta, arrivando alle prime iniziative filologiche del nuovo secolo inaugurate dall’edizione del Curriculum vitae nel 2001 presso Interlinea). Un’ampia sezione di indici offre una serie di itinerari di lettura e di approfondimento offrendo tracce utili per ricostruire e comprendere la fortuna critica delle opere di Clemente Rebora. Come scrive Marziano Guglielminetti nella Presentazione del volume, «la bibliografia apre le porte alla storia della critica e bisogna dare atto ai curatori di avere provveduto all’importante bisogna allestendo, nella prima sezione del libro, un catalogo che vorremmo dire eloquente, soltanto che si ponga mente alla lunga battaglia che ha visto la poesia novecentesca collocarsi fra avanguardia e tradizione, quale in specie si è venuta configurando nel palese tentativo di limitare l’area della prima a favore della seconda, ovvero, per far dei nomi, di restringere e comprimere l’area crepuscolare, vociana e futurista, per estendere e rinfoltire l’area ermetica. La presente bibliografia consente gli itinerari suggeriti, e restituisce viva la presenza» di poeta» che già nei suoi giovanili Frammenti lirici aveva intuito un aspetto legato a questo lavoro: «fra quattro mura di libri e d’ombra, / sopra pagine ingombre, / l’amabil giovinezza / zqui s’infosca e si spezza», perché «dalle pagine ingombre, ottenebrato / il mio volto s’alza a chiedere / la verità della vita». |
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Qui sotto trascriviamo il testo della Presentazione di Marziano Guglielminetti
PRESENTAZIONE La bibliografia degli scritti di e su Clemente Rebora, che ho il piacere d’introdurre, si distingue subito, per quanto concerne le vicende di questo poeta e della sua poesia nella storia letteraria del ventesimo secolo, perché gli autori hanno voluto raggrupparla in due categorie non prive di una loro solennità: ante mortem, si dice la prima, post mortem, la seconda. Ma subito, sotto la prima insegna, sembra doversi collocare una cesura, tra il capolavoro di Rebora che segna nel ’13 il suo esordio, l’anno dei Frammenti lirici, e i successivi Canti anonimi, del ’22, di minore importanza ma non per questo privi di una loro individualità, degna se non altro di qualche interrogativo. Ad esempio, non poteva essere sin da allora supponibile che nascondevano l’esperienza individuale della guerra appena conclusa, e tuttavia affidata a poesie e prose di grande intensità, espressionistiche, se si vuole? Per di più, leggibili su riviste quali “La Voce “ e “La Riviera Ligure”, “La Brigata” e “La Raccolta”. Le notizie bibliografiche, messe a disposizione da Roberto Cicala e Valerio Rossi, ci confermano che nel caso dell’opera prima intervennero con giudizi entusiastici scrittori del rango di Boine e di Monteverdi, probabilmente decisivi nel convincere Papini e Prezzolini a far inserire il nome di Rebora nell’antologia dei Poeti d’oggi (1920): non certo un’antologia di tendenza, ma se mai di valori certi, fra tradizione e innovazione. Nel caso dell’opera seconda praticamente non si fece vivo alcuno e Rebora rischiò di divenire un personaggio di qualche fascino intellettuale e sentimentale, complici, al riguardo, il Diario sentimentale dal luglio 1914 al maggio 1915 di Panzini e il romanzo Il frustino di Sibilla Aleramo, che nel ’32 prevede la trasfigurazione del nostro in Emanuele Orengo, ma non necessariamente in un poeta della prima generazione avanguardistica. Sono gli anni, questi del venti e del trenta, dove la liquidazione delle avanguardie è condotta senza pietà da destra e da sinistra, e non è un caso che il meno riconosciuto dei suoi esponenti, Piero Gobetti, preferisca discorrere di Rebora cultore del teatro e delle novelle di Andreev, quasi fosse questo, e questo solo, il loro punto di contatto. Montale soltanto, sulla “Fiera Letteraria” del ’28, sembra non dimenticarsi del maggior Rebora, unito a Boine e Gozzano (forse parlava anche un po’ per sé ) nel nome di un “impegno severo” che varrà nel tempo. Poi, con l’ingresso nell’ordine rosminiano, ed è quasi un paradosso, il poeta fattosi sacerdote trova in un discepolo di quell’ordine, che è destinato a divenire il maggior critico della poesia del Novecento, dico Gianfranco Contini (e siamo in terra manzoniana!), colui che lo traghetta, nella non prevista compagnia di Campana, nel terreno non propriamente incline agli innesti degli avanguardisti della prima generazione, il terreno dell’ermetismo fiorentino. Carlo Bo non vi si oppone, anzi, sin dal ’40, si fa, per decenni di là a venire, lettore vigile e appassionato; ma bisogna attendere la prima e tuttora insostituibile edizione delle Poesie del ’47, curata dal fratello Piero, anglista di professione, perché si muova De Robertis, e poi Parronchi, e poi Macrí, e poi Bigongiari, e poi Luzi. Il loro ricupero non impedisce ad Anceschi di discorrere di Rebora, nel ’52, entro la famosa e forse arbitraria, ma utile, se non necessaria, “linea lombarda”, per poi consacrarlo nella seconda grande antologia non di tendenza del secolo scorso, quella curata con Antonielli nel ’53 per la Vallecchi. Un po’ a sé si collocano, fra i consentanei, Betocchi, però fin dall’anteguerra, e poi Giovanni Giudici, con il ricordo di una visita al poeta infermo, Giorgio Caproni, Franco Fortini: il tutto dagli anni cinquanta in avanti. Il loro interesse per Rebora, da colleghi direi, in attività di servizio, ha un senso speciale, quando coinvolge anche la vita estrema e l’estrema poesia di Rebora, religiosa a pieno titolo (personalmente ricordo che chi mi legò a Rebora per sempre, proprio in quegli anni ultimi, soleva fare il nome, non d’occasione o di convenienza, di Gerard Manley Hopkins: parlo di Giovanni Getto, che di anime in versi ha parlato come pochi nel pieno Novecento). Marziano Guglielminetti |
Roberto Cicala – Valerio Rossi
Bibliografia reboriana
Presentazione di Marziano Guglielminetti
236 pp. con 10 figg. n.t.
LEO S. OLSCHKI, FIRENZE 2002
Collana “Biblioteconomia e Bibliografia” [Saggi e studi diretti da Piero Innocenti], 29
ISBN 88 222 5166 0
Euro 22