“Il più importante libro sulla resistenza tedesca”. Secondo appuntamento di aprile con gli sconfinamenti tra storia e letteratura a cura di Anna Maria Cardano, che presenta Ognuno muore solo di Hans Fallada, pubblicato da Sellerio, in Biblioteca Civica Carlo Negroni. «Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo» (Primo Levi). Ognuno muore solo (uscito nel 1947) è basato su una storia vera, rielaborazione letteraria dell’inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz’età. Lettere da Berlino è un film del 2016 scritto e diretto da Vincent Pérez basato proprio su questo libro.
Hans Fallada, massimo autore del neorealismo weimariano, ormai alcolizzato, dipendente da farmaci, ripetutamente incarcerato e rinchiuso in istituti psichiatrici, ricevette l’incartamento da autorità della ricostruzione e scrisse l’opera nel tardo 1946, in ventiquattro giorni, appena prima di morire. Eppure questo ritratto raggelante della Germania sotto la doppia angoscia del nazismo e della guerra è rimasto dimenticato a lungo e vive solo oggi una nuova stagione anche grazie alla trionfale scoperta e pubblicazione in America. Ciò malgrado possegga, oltre al valore letterario e storico, tutte le qualità che assicurano un’esperienza di lettura toccante. La tensione livida, paragonata al primo Le Carré. L’azione corale di un gran numero di personaggi mai stereotipati, benché più istintivamente gran parte di loro ispirerebbe o repulsione disgustata o eroico entusiasmo. La trasfigurazione, nel racconto oggettivo privo di ogni espressionismo, dell’esperienza ambientale di chi, forse unico tra gli scrittori antinazisti già affermati, non emigrò mai, continuando a respirare il potere totale hitleriano. Una spietata caccia all’uomo, con tanto di bandierine sulle carte, guidata da investigatori tanto tecnicamente capaci quanto irrazionalmente mossi da un fanatismo assurdamente sproporzionato agli scopi.
E probabilmente le ragioni dell’oblio e della riscoperta stanno appunto nel fatto che è un romanzo sulla resistenza. Un romanzo sulla resistenza e sulla disperazione. Contrastante, quindi, con il luogo comune di un Hitler che non conobbe oppositori tra la gente ordinaria, unita nella colpa collettiva. Fallada racconta di poveri eroi. Anna e Otto Quangel, lui caporeparto, lei casalinga, come tutti i loro pari soli e addormentati e poco prima ancora abbagliati dal Führer, conoscono un risveglio dopo la notizia della morte del figlio al fronte, e cominciano a riempire alcuni caseggiati della loro Berlino con cartoline vergate in modo incerto di appelli ingenui di ribellione. Lo fanno per comportarsi con decenza fino alla fine, ben sapendo che morranno e sicuri che nel vicino incontreranno più facilmente il delatore. L’autore li illumina, scorgendo in loro una specie di coscienza della nazione, rappresentata dai tanti volti intorno, espressioni di un popolo spaccato in due, chi odia e opprime e chi è sepolto nella sua paura.
Hans Fallada è lo pseudonimo del romanziere tedesco Rudolf Ditzen (Greifs wald 1893 – Berlino 1947). Cominciò con un romanzo espressionistico, Der junge Gödeschal (1920), e dell’espressionismo conservò, anche in seguito, il gusto per l’immediatezza emotiva dello stile, pur passando al realismo della Neue Sachlichkeit. Descrisse di preferenza la piccola vita quotidiana della borghesia in dissoluzione. I “Giovedì letterari in biblioteca” sono promossi dai giovani volontari del Centro Novarese di Studi Letterari.